Nemo propheta in patria, espressione che pare appositamente vergata per definire la fama e l’opera di Alberto Martini, opitergino di nascita, ma europeo di adozione, artista tanto lungimerante nella sua produzione creativa, ma così poco compreso dai contemporanei e relegato, al fine, alla memoria di pochi raffinati cultori d’arte.
“…l’invenzione genuina risulta incomprensibile a chi non ha senso dell’eroico. pochi privilegiati la possono intuire, gli altri, impotenti, con maligne arti la combattono. In questo caso si tratta di oscurantismo…”
Con queste parole l’artista stesso lamenta, nella sua autobiografia “Vita d’artista” (1939-40), tutta la delusione e l’amarezza provate di fronte all’indifferenza della critica italiana a lui contemporanea, critica che, fatta eccezione per poche e illuminate personalità, si dimostrò del tutto incapace di cogliere l’originalità e la straordinaria potenza espressiva di Martini.
“So bene che la mia pittura originale può dar noia agli scarabocchini e ai criticonzoli miopi…”
Alberto Giacomo Spiridione Martini nasce ad Oderzo nel 1876 da Maria dei Conti Spineda de Cattaneis, antica famiglia nobile trevigiana da cui eredita un certo gusto dandy e una personalità scevra da qualsiasi asservimento o imposizione tradizionale, e da Giorgio Martini, pittore naturalista e professore di disegno, sotto la guida del quale inizia a disegnare e dipingere. L’ambiente familiare gli diede una prima educazione artistica, che non ebbe altri sedi di elezione, nè accademie: i parenti del padre, infatti, erano decoratori e mosaicisti veneziani di fama internazionale. La genesi di Martini è quella dell’autodidatta, caratteristica che lo accomuna alla formazione della maggior parte degli artisti europei a cavallo del secolo.
Egli dimostrò, fin dagli esordi, una spiccata predilezione per l’arte grafica. La sua vocazione di pittore, però, fu spesso mortificata e mal considerata, tant’è che egli si imporrà nella scena italiana ed internazionale soprattutto come maestro dell’arte del bianco e nero: illustrando numerose opere letterarie, disegnando ex libris, eseguendo pregiate affiches pubblicitarie. In queste opere raggiunse un alto grado di professionalità ed è possibile tracciare un percorso stilistico dalle giovani tendenze Art Nouveau, caratterizzate da segni ondosi e arabescati, fino al decorativismo più freddo, cerebrale, tipico del gusto Déco.
Tutta la produzione di Martini, si caratterizza per una notevole autonomia stilistica: pur coltivando un simbolismo dai gusti tenebrosi e perversi e precorrendo certe tendenze del surrealismo, egli si manterrà del tutto originale e radicato in un ambito culturale profondamente europeo.
Fondamentale fu, nella sua biografia artistica, l’incontro del 1898 con il critico napoletano Vittorio Pica con il quale si instaurò un rapporto quasi di alunnato. “Cio di cui mi ricordo molto bene – scrive Pica nel 1927 menzionando l’incontro con Martini avvenuto durante l’Esposizione Internazionale di Torino del 1902 – è che fu proprio in tale occasione che ebbi la buona ventura di fare la conoscenza di lui come artista e come persona. L’uomo, poco più che ventenne mi riuscì di prim’acchito simpatico nella riservatezza signorile, seppure un pò fredda, nell’eleganza sottile della persona, nel pallore del volto, in cui alla freschezza sensuale delle labbra rosse contrastava lo sguardo strano, fra acuto e astratto, fra disdegnoso e canzonatorio.”
Il sodalizio fra Pica e Martini stimolò l’intensità creativa di quest’ultimo iffinando, al contempo, le inclinazioni elitarie e prettamente spiritualistiche della sua arte. Pica, infatti, nutriva una visione puramente aristocratica dell’arte e, sebbene ebbe il merito di affermare la figura di Martini a livello europeo, limitò, d’altra parte, l’ampiezza e qualità di vedute dell’artista, incoraggiandolo verso un’arte dai toni decadenti di maniera, tra il blasé e il salottiero, a cui ne corrisposero, progressivamente, anche l’aspetto fisico e lo stile di vita.
Tra la copiosa produzione di Martini, la quale merita tutta la considerazione e attenzione possibili, voglio ricordare, in questa sede, le numerose illustrazioni realizzate ispirandosi ai racconti di Edgar Allan Poe. Egli consacrò 136 disegni ai tales dello scrittore americano e, sebbene fossero stati esposti alla Biennale di Venezia del 1907-1908, alla Galleria Goupil di Londra e in altre occasioni, rimasero per la maggior parte sconosciuti fino al 1984, anno in cui vennero pubblicati e catalogati; fatto che conferma la poca ammirazione che destava Martini fra i suoi contemporanei e l’isolamento come figura artistica nel panorama del tempo.
Le novelle di Poe furono un fertile argomento per le elaborazioni dell’artista, anche perchè si ponevano in sintonia con il tema del sogno, tema di pretta matrice simbolista e presenza ossessiva nelle dichiarazioni e nelle iconografie di Martini.
“La mia vita è un sogno ad occhi aperti. Il sonno è un sogno ad occhi chiusi falsato dall’incubo della realtà. Sarebbe strano che qualcuno negasse che la realtà è un intempestivo, brutale, mortificante susseguirsi di contrattempi, malintesi, intoppi, cupidigie e miserie, di combinazioni assurde, immorali, criminali, tragiche, stonate sempre e noiose, perchè tutti gli uomini sono vittime di tali imprevedute avventure e ho sempre trovato tanto brutta, incongruente, grottesca e crudele la realtà, e quasi sempre di una comicità così ridicola e banale o di una perversità così ripugnante, che la mia riconciliazione è problematica.”
Martini conobbe Poe attraverso la traduzione francese che ne fece Baudelaire, ma, probabilmente, lesse anche delle traduzioni italiane. In questo nutrito corpus di disegni l’artista si dimostra totalmente lontano dai compiaciuti contorsionismi grafici di matrice liberty, esprimendo, con un segno più crudo e spoglio, l’essenza realistica e lucidamente descrittiva di Poe, del tutto estraneo a certi vezzi voluttuosi e sensuali tanto cari al Martini.
Le rappresentazioni sono fedeli al testo del poeta e incarnano perfettamente la vena più macabra e onirica di quest’ultimo. Lo stile, allo stesso modo, si fa duro e materiale, denso e dalla linea più concreta, vicino, per certi versi, alla grafica manieristica del Rinascimento tedesco, di cui Martini offre un’originale reinterpretazione. L’artista ebbe dei contatti documentati con l’ambiente culturale tedesco attraverso diversi soggiorni a Monaco e la collaborazione, come illustratore, per le riviste moderniste “Jugend” e “Decorative Kunst”; potè quindi conoscere direttamente la grafica tedesca a lui contemporanea ed approfondire lo studio degli artisti nordici del cinquecento.
L’8 novembre 1954 Alberto Martini muore a Milano, lasciando un testamento spirituale dove auspica l’istituzione di un museo in cui custodire le memorie e i documenti del surrealismo italiano.
Oggi, presso la “Pinacoteca Alberto Martini” di Oderzo, possiamo ammirare la preziosa eredità di questo artista, tanto negletto e misconosciuto, osteggiato dai contemporanei e relegato alla fruizione di pochi appassionati buongustai.
“…La grande finestra del mio studio è aperta nella notte. In quel nero rettangolo passano i miei fantasmi e con loro amo conversare. Mi incitano ad essere forte, indomito, eroico, mi sussurrano segreti e misteri che forse ti dirò. Moltissimi non crederanno e me ne duole per loro, perchè chi non ha immaginazione vegeta in pantofole: vita comoda, ma non vita d’artista. Una notte senza stelle, in quel rettangolo nero mi vidi come in uno specchio.
Mi vidi pallido, impassibile, la mia anima, pensai, che ora specchia il mio volto nell’infinito e un giorno specchiò chissà quali mie sembianze, perchè se l’anima è eterna non ha nè principio nè fine e noi non siamo ora che un suo differente episodio terreno. E questo pensiero rivelatore mi turbava. [...]
Mi voltai e vidi posata accanto alla mia mano una grande farfalla notturna che mi guardava battendo le ali. Anche tu, pensai, stai sognando e l’incantesimo dei tuoi immoti occhi di polvere mi vede un fantasma. Sì, notturna e bella visitatrice, sono un sognatore che crede nell’immortalità, o forse un fantasma del sogno eterno che chiamiamo vita.”
(Alberto Martini, “VIta d’artista”)